Presenterò le attività che svolgo nelle classi del Liceo classico Garibaldi nelle quali insegno, cercando di mostrare che la sperimentazione dell’uso degli strumenti del Web 2.0 rappresenti un momento di sintesi tra la ricerca didattica e la realtà dei miei alunni, adolescenti centrali sui media, consumatori attenzionati dal mercato, utenti privilegiati degli strumenti di comunicazione, che godono di un’autonomia decisionale inedita rispetto alle generazioni precedenti
Le attuali riflessioni sulle strategie didattiche per rendere più efficaci l’insegnamento-apprendimento adeguandole alle nuove esigenze culturali e a nuovi strumenti tecnologici si indirizzano verso metodologie che superano una visione del docente come trasmettitore di conoscenze formalizzabili attraverso un percorso sequenziale di acquisizione e di elaborazione di informazioni oggettivamente verificabile.
Quella che in termini tecnici-scolastici viene indicata come “programmazione”. Ogni argomento viene affrontato per un documentato motivo (obiettivi generali, specifici, operativi), organizzato in tempi e in modi esplicitati con accuratezza, individuando preventivamente le abilità che gli studenti debbano acquisire, controllando la loro acquisizione con opportuni indicatori e descrittori.
Questi rigidi protocolli delle pratiche didattiche sono indubbiamente utili ad abituare gli insegnanti a riflettere sull’organizzazione del curricolo e sulle attività proposte evitando improvvisazioni e comportamenti superficiali non auspicabili, ma sempre più spesso si rivelano inadeguati a fronteggiare le esigenze degli studenti che oppongono degli stili di apprendimento meno lineari ed organici.
Una parte significativa dell’offerta di aggiornamento proposta in questi ultimi anni dal Ministero della Pubblica Istruzione è costituita da corsi finalizzati alla formazione dei docenti sull’uso delle applicazioni multimediali e della rete Internet che specificatamente riguardano l’area pedagogico-didattica ( Corsi ForTic), ma quando si parla di utilizzare Internet per l’apprendimento la prima cosa che viene in mente alla maggior parte dei docenti e degli alunni sono le famigerate ricerche.
Assegnata rigorosamente “per casa” che fino a qualche anno fa, con il coinvolgimento di genitori spesso infastiditi, si concretizzavano in dosi più o meno massicce di lavoro amanuense dopo aver recuperato dalla libreria l’enciclopedia il cui acquisto veniva finalmente legittimato.
Solo qualche alunno riusciva ad aggiungere delle immagini, magari le “figurine” altro supporto formativo dei tempi andati. La maggior parte si limitavano a un paio di pagine di bella o brutta grafia “- Certo non si possono ritagliare le pagine dell’enciclopedia !” oppure “- Non potevo copiare tutto”
La diffusione della Grande rete ha rivoluzionato questa modalità di studio, timida e faticosa apertura al di fuori del libro di testo.
I docenti che continuano ad assegnare le “ricerche” spesso si vedono consegnare pagine e pagine stampate, figure comprese, ben impaginate, troppo complete e troppo uguali. I ragazzi infatti, anche se su Internet passano interi pomeriggi, liquidano velocemente la faccenda, scrivono il nome su un motore di ricerca, trovano l’argomento, l’enciclopedia Encarda è un cult, e stampano quasi tutti le stesse pagine. L’insegnante, giustamente, ritiene inutili questi compiti e spesso purtroppo commenta che “- Internet non è utile per l’apprendimento”
Ma gli stessi ragazzi nei pomeriggi in cui stanno davanti al computer apprendono molto, imparano a scaricare i files di suono, i celebri MP3, imparano a scambiarsi e a modificare le immagini, imparano a pubblicare pagine sul web. Acquisiscono competenze non banali su programmi di editing (modifica) di suoni e di trattamento delle immagini e competenze sul file sharing (condivisione di file all'interno di una rete comune) oltre che di videoscrittura, di linguaggio HTML. In sostanza quelle competenze d’uso del computer e della rete che gli adulti, docenti compresi, fanno fatica ad acquisire con estenuanti corsi di alfabetizzazione informatica.
Si può semplicemente dire che sono figli del loro tempo, ma non è realistico pensare che un ragazzo, solo perché ha 12 o 14 anni si siede davanti al computer e diventa automaticamente esperto. I ragazzi davanti al computer collegato ad Internet studiano ed apprendono l’uso dei programmi e le caratteristiche delle reti.
Mi sembra interessante cercare di capire come, potrebbe dare qualche spunto alla ricerca didattica!
Certo alcuni leggono i contenuti di qualche sito ben informato, ma la maggior parte continuano a mantenere per la lettura un atteggiamento simile a quello che hanno davanti ad un libro di storia.
I ragazzi imparano, e diventano bravini, utilizzando gli strumenti della comunicazione in rete: forum, chat e gli Instant Messenger. Imparano dai loro coetanei, quelli più esperti insegnano agli altri che seguono con attenzione e che sono pronti a spiegare a loro volta quanto hanno appreso ad altri. Dove si scarica un programma, come si configura, come si usa. Sui forum spesso basta chiedere e si trova qualcuno disposto a fornire una spiegazione, un parere, un consiglio, un link utile. Nessuno seguirebbe, o impartirebbe, una lezione vera e propria. Si sente parlare di un programma o di un particolare comando, si prova, si chiede aiuto, si comunicano i propri problemi o successi, un altro legge, si incuriosice. C’è sempre qualcuno più informato, qualcuno più disponibile a rispondere a tutte le domande. Dopo un poco nei forum si creano le FAQ (la lista delle domande più frequenti, con relative risposte, il patrimonio informativo del gruppo) per non dover ripetere sempre le stesse cose.
Per la verità anche i forum stanno diventando rapidamente obsoleti per i giovani navigatori, i loro trend sequenziali hanno una struttura comunque abbastanza rigida fatta di domande e risposte e della necessità di catalogazione degli interventi. Così sui computer degli adolescenti, oltre il mitico eMule per scaricare video ed mp3, operazione per i ragazzi assolutamente innocente per fortuna ultimamente legittimata da qualche sentenza benevola, il programma che viene maggiormente avviato è Messagent. Che ormai non serve solo per chattare, ma permette di conservare le conversazioni, di condividere i files, di effettuare una videoconferenza, di utilizzare l’audio e di attivare anche una lavagna condivisa. In pratica buona parte delle funzioni che fino a qualche tempo fa erano esclusive di severe piattaforme di e-learning. La comunicazione su Messenger ha sostituito, con analoghe caratteristiche, la comunicazione sui forum, ma il suo facilissimo accesso, in pratica è installato in ogni computer, permette la rapida iniziazione anche dei meno versati agli strumenti tecnologici. Così tra i contatti ci sono sempre più spesso i compagni di classe e così con Messenger attivo sul computer mentre si studia, ci si passano le versioni, si organizzano le uscite serali e si commentano le ultime novità. Come se si trascorressero i pomeriggi insieme in classi virtuali, probabilmente più simili a quelle reali di quanto non siano quelle proposte sempre nelle suddette severe piattaforme di e-learning. Ma i ragazzi non si limitano a comunicare su Internet. Basta chiedere in una classe quanti hanno un blog. Anche in questo caso i giovani sanno semplicemente usufruire della possibilità di pubblicare sulla rete “senza scrivere una riga di codice” e senza pagare costi di hosting e hanno anche discrete abilità, purtroppo agli onori della cronaca per applicazioni poco edificanti, di usufruire dei servizi gratuiti di deposito di immagini e video in rete da richiamare e visualizzare sulle loro pubblicazioni.
I ragazzi apprendendo, comunicando e pubblicando in Internet mostrano di avere, in modo abbastanza diffuso, le competenze che permetterebbero loro di praticare la didattica in rete, utilizzando con disinvoltura gli strumenti propri dell’e-learning in modalità blended .
Mentre a scuola ci si limita a continuare ad assegnare loro qualche ricerca e a meravigliarsi che non si appassionino abbastanza e producano stampe sciatte e distratte.
E’ interessante però notare che le competenze che i ragazzi possiedono che ho messo prima in evidenza non solo non sono prese in considerazione dai loro docenti, ma vengono sottovalutate anche dagli addetti ai lavori della formazione in Internet. Nei corsi di formazione e aggiornamento che riguardano l’area pedagogico-didattica gli esperti e i tutor sono impegnati nell’individuare e consigliare software e applicazioni in rete che potrebbero essere utilizzati nel lavoro in classe, sollecitando gli insegnanti a coglierne le caratteristiche specifiche che permetterebbero di inserirli coerentemente nella loro programmazione. Così si spiega cosa sia un blog o un wiki, un instant messanger o una chat proponendo riflessioni su come si possano utilizzare per migliorare le capacità espressive e comunicative degli alunni.
Forse sarebbe più semplice permettere agli alunni di utilizzare liberamente i computer collegati in rete in un laboratorio di informatica e invitare gli insegnanti a osservare i loro alunni che consultano siti, aggiornano blog e comunicano con i loro contatti su Messenger.
Ma non credo che il problema di innovare le metodologie dell’insegnamento-apprendimento si possa banalizzare uniformando le competenze informatiche e tecnologiche degli insegnati a quelle dei loro alunni. Un docente che tiene un blog o chatta non diviene automaticamente più in grado di trasmettere i contenuti della propria disciplina.
Credo che sia necessaria una riflessione non solo sul fatto che nella scuola si utilizzino strumenti di comunicazione e di informazione diversi da quelli che i ragazzi usano nel tempo che trascorrono fuori dalla scuola, ciò che mi sembra stia cambiando non sono solo gli strumenti con i quali si apprende, ma proprio il modo di raccogliere le informazioni e di costruire competenze del quale Internet è un supporto privilegiato, ma che è possibile individuare anche nell’uso di altri media: la televisione, le riviste, i quotidiani .
Viviamo in un mondo di troppe informazioni che bisogna essere in grado di selezionare, scegliere e organizzare più che acquisire.
Siamo ormai abituati a farlo ormai per quanto riguarda la cronaca: un evento ci viene troppo raccontato e descritto per avere il tempo di leggere tutti gli articoli o seguire tutti i servizi televisivi, così ci si abitua ad un apprendimento disordinato, fatto di informazioni frammentarie che a poco a poco completano nella nostra mente la notizia. Certo sarebbe preferibile seguire un’unica trattazione completa ed esaustiva, ma è difficile reperirla, quindi cerchiamo di ricostruirla abbastanza velocemente da essere in grado di acquisire informazioni sull’evento altrettanto documentato che segue immediatamente dopo.
Questo modo di apprendere è necessario anche per alcuni argomenti: l’informatica per esempio che si evolve talmente velocemente da non permettere un reale approfondimento degli argomenti, bisogna imparare al contrario a estrapolare da una nuova tecnologia soft o hard solo gli elementi essenziali, quelli che individuano una reale novità, tralasciando le descrizioni troppo specifiche di caratteristiche che diventeranno obsolete in breve tempo.
I nostri alunni sono immersi in questa “nuvola informativa” e non solo per quanto riguarda l’attualità. Anche i libri di testo si sono moltiplicati, dilatati e appesantiti, salvo poi a ridurli a fascicoli, rigorosamente venduti indivisibili, per facilitarne il trasporto. Letture di approfondimento, analisi del testo di livello semi-professionale, interi volumi di critica, schede di verifiche di ogni tipo hanno via via ampliato gli scarni contenuti che caratterizzavano i libri di testo sui quali è comunque riuscita ad apprendere la generazione dei loro docenti. E inoltre si sono aggiunti, giustamente, i contenuti della cronaca e degli sviluppi attuali della ricerca, per non parlare delle informazioni e della formazione distribuite nei percorsi progettuali che si affiancano alle tradizionali attività didattiche. Correttamente ciò è collegato alle nuove esigenze di conoscenze e di competenze che la nostra società impone, ma non si può non osservare che il carico di nozioni e di elaborazioni che si richiede dai ragazzi oggi è notevolmente aumentato. E Internet permette inoltre di potere usufruire di un patrimonio conoscitivo praticamente infinito. Un ottimo strumento quindi per permettere agli studenti di studiare, di approfondire agevolmente ogni argomento.
L.Russo in “Segmenti e bastoncini” descrive l’evoluzione di un problema di matematica attraverso il tempo e i diversi paradigmi didattici
1960
Un contadino vende un sacco di patate per 10000 lire. Le sue spese di produzione sono 4/5 del prezzo di vendita. Qual è il suo guadagno?
1970 (insegnamento tradizionale)
Un contadino vende un sacco di patate per 10000 lire. Le sue spese di produzione sono 4/5 del prezzo di vendita, e cioè 8000 lire. Qual è il suo guadagno?
1970 (insegnamento innovativo)
Un contadino scambia un insieme P di patate con un insieme M di monete. La cardinalità dell’insieme M è uguale a 10000 e ogni elemento di M vale una lira. Disegna 10000 grossi punti che rappresentino gli elementi dell’insieme M. L’insieme S delle spese di produzione è un sottoinsieme di M ed è formato da 2000 grossi punti in meno di quello dell’insieme M. Rappresenta l’insieme S e rispondi alla domanda seguente: qual è la cardinalità dell’insieme G che rappresenta il guadagno? Disegna G in colore rosso.
1980
Un contadino vende un sacco di patate per 10000 lire. Le sue spese di produzione sono 8000 lire e il suo guadagno è di 2000 lire. Sottolinea la parole "patata" e discutine con i tuoi compagni.
Mario Gineprini ne ipotizza un’altra per gli anni 2000.
Supponendo che degli agricoltori vogliano vendere un sacco di patate per 10000 lire, fai una ricerca in Internet per determinare il volume della domanda potenziale di patate nel nostro paese. Completa la ricerca analizzando gli elementi del problema e costruendo la struttura reticolare dei rapporti che intercorrono fra essi. Infine, dopo aver preparato una presentazione multimediale del lavoro, fai una tabella a doppio ingresso o un grafico per mostrare i diversi modi di cucinare le patate.
Ma naturalmente la soluzione dei problemi di apprendimento, o di super-apprendimento, non possono essere risolti ignorando che le nozioni minime necessarie nella società del progresso sono aumentate esponenzialmente e che i nuovi strumenti di comunicazione, Internet compreso, forniscono inedite e preziose opportunità di acquisirle. Solo che probabilmente è necessario guidare gli alunni più che lungo la strada della conoscenza a orientarsi nel volo cieco tra le nuvole, proponendo loro delle opportune strategie di apprendimento/insegnamento.
Il progetto m@t.abel, promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione per curare l’aggiornamento dei docenti di Matematica all’applicazione in classe dei nuovi O.S.A. (Obiettivi specifici per l’apprendimento) che prima o poi sostituiranno i vecchi programmi nella scuola secondaria di II grado e soprattutto “ha per obbiettivo il miglioramento dell’insegnamento della matematica nella scuola italiana, anche al fine di ovviare ai deficit rilevati dalle recenti indagini OCSE-PISA”, si preoccupa di mettere in particolare evidenza delle indicazioni metodologiche finalizzate alla costruzione di significati matematici.
Un’attività didattica può essere considerata significativa se consente l’introduzione motivata di
strumenti culturali della matematica per studiare fatti e fenomeni attraverso un approccio
quantitativo, se contribuisce alla costruzione dei loro significati e se dà senso al lavoro
riflessivo su di essi. Lo sviluppo in classe di attività didattiche con tali caratteristiche dovrà
avere come fine la costruzione delle capacità di esercitare un controllo sulla realtà secondo
i modelli della razionalità scientifica.
Si propone un “laboratorio di matematica” nel quale, oltre all’insegnamento per problemi, al problem solving , all’uso di software è dato notevole risalto all’interazione tra le persone.
La costruzione di significati è strettamente legata alla comunicazione e condivisione delle conoscenze in classe, sia attraverso i lavori in piccoli gruppi di tipo collaborativo o cooperativo, sia attraverso lo strumento metodologico della discussione matematica, opportunamente gestito dall’insegnante.
L’insegnante eserciterà il suo ruolo di mediazione sia in modo diretto, attraverso l'introduzione degli strumenti matematici necessari in relazione alle diverse situazioni didattiche, sia in modo indiretto, utilizzando le produzioni individuali degli alunni (da confrontare e discutere in classe) e attraverso la valorizzazione dei contributi degli alunni durante le discussione in classe e il lavoro di gruppo.
Mi sembra interessante come la proposta del m@t.abel si preoccupi, con lo scopo di migliorare la formazione matematica degli studenti, di associare a una scelta di argomenti da trattare anche una metodologia in cui abbia un ruolo significativo la “discussione” matematica oltre ad alcune pratiche come il cooperative learning e il collaborative learning e quindi un approccio didattico costruttivista superando i paradigmi alla base del cognitivismo delle cui difficoltà di applicazione nelle classi sono partita all’inizio di queste riflessioni.
Definendo il “laboratorio di matematica” nelle indicazioni del progetto m@t.abel si precisa che non è un luogo fisico diverso dalla classe e uno dei promotori nel corso di una presentazione lo ha denominato “il laboratorio che non c’è” parafrasando James Barrie.
Wikipedia aggiunge che Il riferimento all'isola che non c'è viene spesso utilizzato metaforicamente per riferirsi a una utopia o a un ideale, implicando che chi ne nega la realizzabilità manca di immaginazione.
Non so se per mancanza o per eccesso di immaginazione, ma penso che il “laboratorio che non c’è” si possa realizzare con gli strumenti del Web 2.0
giovedì 21 dicembre 2006
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